Lo
diceva tempo fa il mio amico Curtis Evans sul suo bellissimo blog “The
Passing Tramp” rispondendo ad un mio commento. In sostanza, in risposta a
lui che si rammaricava di non esser riuscito a rintracciare alcuni
romanzi di quest’autore, io avevo dichiarato che uno dei volumi da lui
citati, seppure in traduzione italiana, io lo possedevo.
Come cominciamo? Ah, sì.. Chi fu F.J. Whaley?
Curtis
spiega nel suo articolo che Whaley nacque nel 1897 e morì nel 1977, che
era figlio di Oswald Stanley Whaley, “an Anglican minister” born in
1856 in Kilburn, London; che combattè nella 1^ guerra mondiale, e che
consegnò alle stampe nove romanzi polizieschi tra il 1936 e il 1941:
Reduction of Staff (1936)
Reduction of Staff (1936)
Trouble in College (1936)
Challenge to Murder (1937)
Southern Electric Murder (1938)
This Path Is Dangerous (1938)
Southern Electric Murder (1938)
This Path Is Dangerous (1938)
Swift Solution (1939)
The Mystery of Number Five (1940)
Death at Datchets (1941)
Enter a Spy (1941)
Devo riconoscere che qualche dato in più l’ha aggiunto rispetto alla scarna didascalia di Gadetection e di siti specialistici. Mi sarebbe piaciuto studiare qualche suo dato in più e metterlo a confronto con quelli di altri scrittori britannici; l’unico di un qualche interesse è però che F(rancis) J(ohn) Whaley, come altri scrittori britannici (Innes, Crispin, Masterman, Kyd, etc..) ambienta due dei suoi nove romanzi (Reduction of Staff e Trouble in College), entrambi del 1936, in luoghi accademici. Qualche altro dato lo darò a fine introduzione romanzo.
The Mystery of Number Five (1940)
Death at Datchets (1941)
Enter a Spy (1941)
Devo riconoscere che qualche dato in più l’ha aggiunto rispetto alla scarna didascalia di Gadetection e di siti specialistici. Mi sarebbe piaciuto studiare qualche suo dato in più e metterlo a confronto con quelli di altri scrittori britannici; l’unico di un qualche interesse è però che F(rancis) J(ohn) Whaley, come altri scrittori britannici (Innes, Crispin, Masterman, Kyd, etc..) ambienta due dei suoi nove romanzi (Reduction of Staff e Trouble in College), entrambi del 1936, in luoghi accademici. Qualche altro dato lo darò a fine introduzione romanzo.
Challenge to Murder
è uno strano romanzo, potrei dire anche inusuale, per il tema trattato
nel plot: parla sì di un delitto, e ciò non è interessante; quello che è
invece molto interessante, è il movente che porta al delitto. Movente
che non è dell’omicida, ma..della vittima.
Andiamo per ordine.
John
Maltby è un imprenditore, diventato ricco con la produzione di carne e
piselli in scatola. Per tutta la vita ha lavorato e col sudore della sua
fronte e col suo coraggio, è riuscito a costruire un patrimonio
valutato circa tre milioni di dollari. John ha avuto tre figli che però
lungi dal percorrere le orme paterne, sono più inclini a sperperare che
ad accumulare altro capitale. Ahimè John non gode la salute di Zio
Paperone, però ha la capacità e l’intuizione di costruire un suo
deposito virtuale per metterlo al riparo degli assalti dei Fratelli
Bassotti, che nel suo caso sono i tre figli Roger, Carl ed Eustache. E
così, prima di morire, redige un testamento, in base al quale nomina suo
esecutore testamentario e amministratore unico, suo fratello Mark, una
persona di gusti semplici, per cui il denaro non è mai stato una
preoccupazione, avendo sempre vissuto in maniera assai spartana. Mark si
sente investito del compito di impedire che “i tre aspirapolvere” (così
i tre scapestrati figli fannulloni sono definiti in un passo del
romanzo) umani, risucchino tutto il patrimonio, sperperandolo in vizi,
bagordi e spese non necessarie. I tre più che fratelli sono
fratellastri, essendo nati da tre diverse mogli di John.
Dopo
un’agonia durata anni, nei quali Mark ha assistito al declino sempre
più repentino delle condizioni fisiche e di salute del fratello
costretto ad una immobilità quasi assoluta, egli diviene erede della
fortuna, col compito di amministrarla in maniera da consegnarla ai tre
eredi in condizioni floride, alla sua morte, e assicurando ai tre eredi,
per tutta la durata della sua vita, un assegno mensile, che serva ai
tre per campare.
Il
rapporto dello zio con i nipoti è molto problematico: egli non li
sopporta, perché fannulloni, vigliacchi, infidi, viziosi, e loro tre non
lo sopportano perché gli è stato affidato il patrimonio che sarebbe
dovuto essere il loro. Ogni martedì i tre vanno a pranzo dallo zio, e
ogni settimana si rinnova l’astio e l’odio tra i quattro, cui assiste
impotente il cameriere personale di Maltby, Potter, che però non porta a
nulla di nuovo: Maltby non si da pace che il patrimonio ingente un
giorno finisca sperperato dai tre fannulloni, e i tre fratellastri, pur
odiandolo, dipendono da lui per ogni più piccolo vezzo o desiderio,
oltre che per il vitalizio che egli destina loro mensilmente.
Questa
“guerra fredda” tuttavia, un giorno, esplode quando Maltby, in seguito a
certi malanni , recandosi dal suo medico per avere ragguagli sul suo
stato di salute, comprende che è peggiorata e che non gli resta molto da
vivere: avendo assistito al calvario del fratello e non volendolo
rivivere, ha una pensata che determinerà il corso degli eventi
successivi: decide di compilare un ben strano testamento, non
avvalendosi dell’ausilio del notaio di famiglia, un tal Whipple, anzi
non perdendo occasione per ribadire che ogni consiglio legale dell’altro
da lui non verrà preso in esame; dall’altro lato il notaio conferma la
validità del testamento seppure curioso per disposizioni. Il testamento
dispone in sostanza che nel caso di morte naturale del redigente, il
patrimonio, detratti dei vitalizi ai tre nipoti e al vecchio cameriere
Potter, venga diviso tra vari enti di beneficenza; nel caso in cui
invece Mark Maltby venisse assassinato, il patrimonio verrebbe diviso in
parti uguali tra i tre fratelli, detratto sempre il vitalizio per
Potter. E’ come se il vecchio zio avesse sfidato i nipoti ad ucciderlo:
da qui deriva il titolo del romanzo Challenge to Murder.
Sarebbe
troppo facile però se i tre lo uccidessero e basta: No. Il vecchio è
pur affezionato alla vita, e quindi contrasterà con ogni mezzo i futili
tentativi di sopprimerlo, arrendendosi solo alla minaccia letale da
parte del più deciso dei tre.
Lì
per lì i tre pensano che il vecchio sia matto (probabilmente lo è) ma
intanto devono convivere con una situazione che non avevano minimamente
preso in considerazione: aspettavano che il vecchio tirasse le cuoia per
poter godere del patrimonio loro ed invece ora si trovano dinanzi al
dilemma di scegliere se non fare nulla, continuando almeno ad essere
“puliti” davanti alla legge e alla propria coscienza ed essere poveri, e
invece attivarsi per uccidere il vecchio, e diventare ricchi.
I
tre inoltre devono scegliere se lottare gli uni contro gli altri,
oppure scegliere una strada comune e architettare un piano assieme per
eliminare il vecchio zio matto.
Per
un certo periodo di tempo, la vita continua a durare senza particolari
sussulti: è come se i tre fratelli, sperando in un ravvedimento dello
zio, aspettassero l’occasione per dare una sferzata alla loro vita, non
attentando tuttavia alla vita del parente.
Un
primo segnale che però la situazione non è destinata a cambiare, si
presenta quando Roger per caso, assistendo all’imbizzarrimento del
cavallo montato dallo zio, evita che lui potesse essere disarcionato e
ucciso, anche per evitare che potesse morire repentinamente e quindi
mettere in pratica la loro rovina finanziaria: si aspetterebbe, una
volta riconosciuto dallo zio, che quegli gli dimostrasse gratitudine, ed
invece viene liquidato con un misero assegno.
Così
un bel giorno tra ti tre fratelli si instaura il germe della necessità
finanziaria e così capiscono che l’unico modo per diventare ricchi, è
uccidere Carl Maltby.
Non
dico chi vi riuscirà, dico solo che è uno dei tre fratelli, e che però
sarà acciuffato dall’Ispettore Stokes della Polizia Metropolitana,
grazie ad un granello di polvere che rovinerà l’astutissimo piano e
distruggerà l’alibi a prova di bomba dell’assassino.
Premetto che la copia in mio possesso, l’unica peraltro in circolazione in Italia, è frutto di una traduzione non integrale.
Perché
dico ciò? Perché in sostanza il romanzo, pur essendo in alcuni tratti
anche avvincente, possiede una caratteristica negativa: il romanzo
termina con l’inchiodamento del colpevole alle sue responsabilità, senza
un finale che chiarisca le lacune che un finale troppo repentino
sviluppa nella considerazione del lettore attento. In altre parole: che
fine fa il patrimonio?
Il
romanzo non lo dice. Il lettore, sempre attento allo svolgimento degli
eventi, lo avrà capito però: dei tre fratelli, uno rimarrà a godersi il
patrimonio, mentre gli altri due periranno se non sul patibolo, in
carcere, sempre che non si dimostri l’inattività del terzo dinanzi ai
propositi delittuosi degli altri due, cioè dell’assassino e del
complice; cioè, ancor più per essere precisi, che l’accusa non dimostri
il favoreggiamento o la reticenza del terzo, che pure allo zio aveva
dichiarato di aver scoperto i propositi omicidi dei fratelli (senza
peraltro venire ringraziato dallo zio, che ne denuncia invece la
vigliaccheria di fondo), ma che poi invece dalla polizia non è stato
interrogato, in quanto lontano dalla successione degli eventi (in quanto
residente a Long Island), ma che neanche lui da loro si è presentato
per denunciare i fratellastri.
Prima
c’è stato un possibile furto ai danni dello zio, organizzato dalla
mente dei tre, con lo scopo di provocare la morte del parente durante un
tentativo di rapina: per questo ha illuso il ladro, che poi avrà la
peggio e vorrà vendicarsi nei confronti del mandante sprovveduto e
infido; poi c’è stato un tentato borseggio ai danni sempre della mente
dei tre fratelli, da cui è scaturita la conoscenza tra il borsaiolo e la
“vittima”; poi la minaccia del “quasi derubato” nei confronti del ladro
di denuncia se quello non gli avesse fatto conoscere qualche suo amico
del giro che potesse essere interessato a fare il killer; poi si capirà
il modo come l’assassino abbia potuto procurarsi una pistola con
silenziatore. Infine lo zio verrà ucciso in un tunnel della
metropolitana, da un individuo protetto da pastrano e cappellaccio che
gli esploderà contro tre colpi di pistola munita di silenziatore: uno in
piena fronte, gli altri due a bruciapelo alla nuca.
L’assassino
è uno dei tre fratelli: non lo rivelo io proditoriamente, ma è detto e
sbandierato in tutte le salse, dal romanzo. E del resto la polizia lo sa
sin dall’inizio, che le indagini devono essere rivolte solo nei
confronti dei tre fratelli. E non ci sono altri possibili attentatori.
E’ come se, finita la tenzone tra i nipoti e lo zio, la “Sfida al
Delitto” con la morte del vecchio, ora, si instaurasse una nuova Sfida
questa volta tra l’Ispettore e i tre possibili assassini.
In
altre parole assistiamo alla creazione da parte di due fratelli di un
alibi costruito minuziosamente, poggiante su falsi rilevamenti ma
solidissimi perché difficilmente smontabili, costruiti su testimonianze
rese in buona fede da terzi, e l’attività della polizia volta a
distruggere l’alibi, a trovare tutti gli appigli e le prove per
incastrarli.
In
questo si capisce anche l’interesse di Curtis per questo autore:
potrebbe essere benissimo un seguace di Crofts, avendone assimilato
perfettamente la tendenza a costruire alibi inattaccabili che poi
vengono smontati altrettanto magnificamente. L’alibi si basa su orari
costruiti su coincidenze di treni, di metropolitana e di automobili: a
smontarlo ci penseranno un inserviente che voleva sentire la radio prima
dell’inizio della trasmissione, ed il borsaiolo che, ignaro della
vittima del borseggio, ruberà di nuovo il portafoglio che aveva tentato
di rubare già precedentemente ad uno dei fratelli, che sarà arrestato,
ed il portafoglio con il suo contenuto compromettente di orari finirà
nelle mani dell’Ispettore che ricostruirà il tutto.
Non dico altro.
Solo che se il patrimonio non andrà disperso, uno dei tre godrà di quello che gli altri due perderanno.
Siamo
in presenza di un procedural serrato, che strizza l’occhio a Freeman
Wills Crofts, e che si basa su un’invenzione tanto strana quanto
balzana: un masochista, impaziente di morire senza troppa violenza,
subito, che istiga ad ucciderlo i tre nipoti, in cambio della ricchezza.
E’
la prima volta che leggo una cosa del genere: un patto scellerato,
potrei dire un patto diabolico, in cui vittima e assassini desiderano la
morte, ed in cui a soccombere, e non ricevere nulla, non dovrebbe
essere lo scellerato, ma il virtuoso.
Mah..
Il
romanzo si legge bene, ma non è certo un capolavoro: si inganna il
tempo, ma viene tolto il mordente all’azione dal fatto che sin
dall’inizio la polizia sospetta solo dei tre fratellastri. Non c’è
nessun altro a desiderare la morte del vecchio. E quindi il romanzo
stancamente procede sino all’inevitabile fine. L’unca nota un po’ fuori
dal coro è l’aspettativa nel capire se l’assassino sia uno o l’altro dei
fratelli, di due fratelli (tenendo conto che l’altro ne sarà almeno
complice nell’assassinio). Tutto qui
Pietro De Palma
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