Oggi propongo un’intervista in esclusiva con Marco Polillo, patron dell’omonima Casa Editrice e già editor Mondadori.
Marco Polillo, già direttore generale della Rizzoli prima e della
Mondadori poi, dopo aver fondato nel 1995 l’omonima casa editrice, nel
2002 si lancia in una nuova iniziativa, fondando la collana de I
Bassotti.
Buongiorno Dott. Polillo. Perché innanzitutto la Casa editrice? Come nacque l’idea e da chi?
L’idea nacque da me. A
quell’epoca aveva già lavorato presso le più importanti case editrici
italiane e ho pensato di mettere a frutto la mia esperienza, dato che
erano ormai più di venti anni che mi occupavo di editoria . Il genere
scelto, la narrativa anglo-americana, era quello che preferivo e a quel
tempo c’era – secondo me – spazio per una nuova realtà editoriale.
Come Le è venuto il ghiribizzo
un giorno ormai lontano di creare – all’interno di una casa editrice già
avviata – una collana di romanzi mystery? Non temeva di diventare un
concorrente di Mondadori, padrone del mercato, e di diventare scomodo? E
perché cominciare la collana con un titolo di John Rhode, un autore di
nicchia in Italia, e non puntare per es. invece su un inedito di
Berkeley (autore più volte poi pubblicato nella Sua collana)?
Sin dall’inizio della mia
esperienza con la Polillo Editore avevo pensato che, una volta che la
casa editrice si fosse affermata, o quanto meno avesse raggiunto una
certa popolarità sul mercato, avrei dato il via a una collana di gialli
classici – un genere che ho sempre coltivato con grande piacere sin da
quando ero ragazzo – per presentare al pubblico della libreria certi
prodotti che rappresentavano dei veri e propri classici nel campo del
mystery e che, per il curioso atteggiamento che c’era sempre stato in
Italia nei confronti di questo tipo di narrativa (una vera e propria
discriminazione intellettuale), venivano pubblicati soltanto in edicola
quasi fossero dei libri di qualità inferiore. Trattando un canale (la
libreria) che probabilmente conosceva pochissimi autori di questo genere
di letteratura, ho privilegiato per il mio esordio un romanzo di un
autore molto meno noto, ma a mio avviso più che buono, rispetto ad altri
forse più conosciuti ma che non garantivano quell’impatto che mi
proponevo di avere. Di Berkeley ho fatto poco dopo (era il n. 5) “Il
caso dei cioccolatini avvelenati”, ma se ancora oggi dovessi scegliere
come iniziare, preferirei di sicuro “I delitti di Praed Street” di John
Rhode ai lavori di Berkeley.
Quanto ha contribuito alla
conoscenza della Sua casa editrice la collana de I Bassotti? E quanto,
il successo della collana, ha influito sul volume di vendita di volumi
di altre collane della sua casa editrice?
La risposta alla prima domanda
è: moltissimo. La mia casa editrice oggi è identificata con i Bassotti.
Quanto al fatto che questa collana abbia aiutato le vendite dei titoli
pubblicati nelle altre collane, direi proprio di no.
Innanzitutto perché proprio questo nome e non un altro?
Cercavo un nome breve,
facilmente ricordabile, che si prestasse a un marchio graficamente
bello. I bassotti andava bene, oltre a tutto, ricordava un po’ le
caratteristiche grafiche dei libri di questa collana (un po’ più bassi
degli altri) e rispecchiava anche una tradizione da anni in editoria, e
cioè quella di chiamare le collane con nomi di animali (Struzzi,
Penguin, Elefanti…)
All’inizio la collana si è
divisa tra una buona parte di riproposizioni di romanzi storici già
proposti in altro tempo da Mondadori e una piccola parte di inediti. Poi
col passare del tempo questo rapporto si è invertito: sono finiti i
romanzi proposti da Mondadori che lei riteneva essere dei capisaldi
oppure il successo della collana l’ha convinta a puntare su novità?
La scelta di partenza era
un’altra. La collana, nata come un divertimento dell’editore e non con
il desiderio di farne l’asse portante della casa editrice, prevedeva un
numero chiuso di opere, 50, tutte di autori diversi, che
rappresentassero il meglio del romanzo giallo dell’età d’oro. Sarebbero
mancati alcuni autori già oggi stabilmente collocati presso altre case
editrici, ma pazienza. Con questa premessa era inevitabile che la
percentuale di opere già edite fosse superiore a quella degli inediti.
Con il successo ottenuto, abbiamo pensato di andare avanti, alternando
ad autori nuovi altri che avevamo già pubblicato. A questo punto è stato
naturale andare sempre più su scrittori non conosciuti in Italia le cui
opere erano inedite. Le confesso che m’interessa poco pubblicare le
opere minori di autori famosi.
Fin dal principio la collana è
stata affetta (e lo è tuttora) da una chiarissima anglofilia. La
proposizione sistematica di classici anglosassoni a scapito di quelli
di altra lingua (penso ai romanzi francesi) è la conseguenza di un suo
amore viscerale per la letteratura anglosassone o anche della poca
conoscenza e quindi della paura di sbagliare nel proporre romanzi di
narrativa poliziesca francese (sempre mystery)?
Non conosco la letteratura francese degli anni Venti/Quaranta, quindi era una scelta inevitabile.
E’ possibile che nel futuro
possa rivedere la sua decisione di puntare solo su letteratura
anglosassone e guardare anche a quella francese degli anni ’30?
Possibile ma non facile, anche
perché dovrei demandare la scelta dei titoli a terzi ed è una cosa che
per le case editrici piccole come la mia e fortemente caratterizzate
dall’impronta dell’editore è commercialmente rischiosa: si potrebbe
correre il pericolo di snaturarne l’identità. Sarebbe opportuno
introdurre una collana ad hoc, ma purtroppo il modesto esito dei
Mastini, che pure annoveravano titoli di grande interesse, almeno
secondo me, mi ha frenato su nuove iniziative. Se poi il mercato dovesse
rimettersi in moto, be’ se ne potrà sempre riparlare.”
Lei parla de I Mastini e questo
provoca una mia domanda collegata. Prima che Lei desse il la al lancio
della collana de I Bassotti, la Casa Editrice, pur non conosciuta come
adesso, aveva pur sempre una propria identità, e annoverava alcune
collane. Al di là del successo meritato della sua collana maggiormente
conosciuta, e al di là della collana de I Mastini che nelle sue
intenzioni avrebbe meritato maggior successo, quale altra collana della
Sua casa editrice lei avrebbe voluto che fosse maggiormente conosciuta
per contenuto editoriale?
Oltre ai Bassotti e ai Mastini
la mia casa editrice non ha pubblicato molte altre collane. I Jeeves, le
opere di Wodehouse dedicate al suo personaggio più famoso, il
maggiordomo tuttofare Jeeves, è una di quelle che ha avuto maggior
successo. Le altre sono Obladì Obladà, una collana di narrativa
contemporanea anglo-americana di genere commerciale (thriller, gialli,
romanzi femminili, ecc.) e i Polillini, vale a dire la ristampa in
edizione economica di quegli stessi titoli. Queste due collane sono
state purtroppo abbandonate anni fa. Quando la Polillo Editore aveva
iniziato le pubblicazioni, nel 1996, il mercato della narrativa
straniera di genere commerciale (la cosiddetta “commercial fiction”) era
seguito da poche case editrici, Mondadori, Rizzoli, Longanesi e – con
un taglio più popolare – Sperling & Kupfer. La mia idea era trovare
una nicchia nella quale inserirmi con romanzi di buona qualità, che
potessero rappresentare una scelta alternativa per chi aveva intenzione
di scoprire qualcosa di diverso dai soliti autori di best seller.
Purtroppo, da allora il mercato è profondamente cambiato. Altre
notissime case editrici (Garzanti, Einaudi, Newton Compton, Piemme,
Nord, Bompiani, ecc.) che in precedenza non si dedicavano alla
commercial fiction, o lo facevano solo marginalmente, sono entrate in
modo massiccio in questo campo con la conseguenza che è aumentata la
competitività sia sul fronte dell’acquisto dei titoli da pubblicare, sia
su quello degli spazi da occupare sul punto vendita. Il risultato è
stato una continua discesa delle vendite e una sempre maggiore
difficoltà a trovare buone opere da pubblicare, fino a quando la
continuazione della collana non è stata più giustificata e ho deciso di
chiuderla.
Chi come me è un appassionato, e
quindi anche un affezionato lettore dei romanzi proposti dalla Sua
collana, non può non aver notato che ci sono degli autori che ricorrono
(Fletcher, Freeman, Berkeley, Carr, etc..) ed altri pubblicati una sola
volta ( Innes, Penny, Rice, Sprigg, etc..). Da cosa è dovuto ciò? Ad
una sua preferenza verso taluni autori, a successi o mancati successi di
vendita, o ad una effettiva disponibilità di titoli buoni da tradurre ?
Sono tanti i motivi. Oltre a
quello che ho già indicato in precedenza, c’è il fatto della difficile
reperibilità a prezzi accessibili dei testi originali; l’atteggiamento
degli agenti letterari che non sempre ritengono di accettare le nostre
offerte; le mie preferenze personali (alcuni autori a me non piacciono);
a volte lo scarso successo delle vendite di precedenti opere del
medesimo autore (Craig Rice è un caso emblematico: è un’autrice che a me
è sempre piaciuta eppure vende poco). Infine certi testi sono così
lunghi che con il mercato che c’è oggi in Italia non reggono il costo
della traduzione e quindi giacciono lì, in attesa di tempi (e di
tirature) migliori.
Come si svolge l’iter della
pubblicazione di un qualsiasi romanzo nella collana de I Bassotti?
Supponiamo che lei venga a sapere dell’esistenza di un determinato
romanzo: qualcuno le dice di possedere un romanzo X che meriterebbe una
pubblicazione. Lei che fa? Discute prima con chi Le propone il libro e
poi legge il libro, oppure l’iter è l’opposto? E quanto conta nella
scelta di un libro anziché un altro, il consiglio di sua moglie che è
anche sua socia?
Il parere che conta è il mio.
Ci sono alcuni fidatissimi (mia moglie è tra questi) che la pensano come
me e quindi la scelta diventa molto facile. Segnalazioni ne arrivano
molte e da varie parti, ma non sono molti quelli che possono portare un
valore aggiunto: è una collana troppo specialistica e personalizzata.
Ho notato che vi sono dei
traduttori ricorrenti (Pratesi, Castino Bado, Amato, etc..) e alcuni
occasionali (Igor Longo per es.). In base a quale procedimento viene
assegnato ad un determinato traduttore un libro? E’ il traduttore che si
propone o è Lei che assegna il titolo? E in base a quale criterio?
Io sono sempre partito dall’idea
che se un traduttore apprezza il libro sul quale deve lavorare la
traduzione viene meglio. Quindi, al di là del fatto che io ho da anni un
nucleo di traduttori affezionati sulla cui qualità e professionalità so
di poter contare, affido i testi a seconda delle loro preferenze e
delle caratteristiche delle opere. E’ raro che ci siano traduttori
nuovi, anche perché in questo momento non mi servono. Il caso di Igor
Longo è molto semplice. Il libro in questione era stato tradotto
abbastanza di recente – e bene – per la Mondadori ; quando ho deciso di
pubblicarlo nei Bassotti, la scelta di utilizzare quella versione è
stata automatica: sarebbe stato inutile farlo ritradurre.
Parecchi lettori pongono sempre la stessa domanda: perché I Bassotti non vengono pubblicati in digitale?
Prima o poi i Bassotti
finiranno, credo, anche in e-book, ma le dirò francamente che io non amo
questo genere di edizioni. Sono testi facilmente piratabili (e io il
mestiere dell’editore lo faccio per passione, ma non al punto da
regalare il lavoro che faccio), hanno in effetti costi minori ma hanno
anche prezzi molto più bassi e possono vivere ed essere realizzati solo
se c’è una edizione cartacea alle spalle. Dovrei qui entrare in una
discussione tecnica che non è il caso di fare, ma purtroppo devo dire
che l’e-book non è la soluzione né per gli editori né per i lettori, e
infatti le ultime notizie sul mercato interno e internazionale ci dicono
che il libro elettronico è in flessione ovunque, mentre c’è una
ripresa del libro di carta.
Un altro interrogativo
ricorrente riguarda il costo del libro. Lei mi ha detto recentemente che
il costo varia anche in rapporto al numero di pagine, e quindi per
mantenerlo fisso presumo che si debbano cercare titoli che non sforino
un certo numero di pagine (per non inficiare l’integralità della
traduzione, che è uno dei vanti della collana). Lei mi diceva questo in
relazione a titoli di Innes, o a certi titoli (uno in particolare di
Dorothy Sayers) in cui il volume insolito di pagine, renderebbe molto
problematica l’apparizione ne I Bassotti, a meno di non aumentare
ulteriormente il prezzo del volume. Non si potrebbe, nel caso di certi
autori, attuare una politica quale quella di etichette americane (del
campo discografico) che pubblicano un certo disco solo dopo aver
raggiunto un certo tipo di prenotazioni, una sorta di vendita sulla base
di un numero certo di acquirenti? E per esempio, non si potrebbe, sulla
falsa riga de I Classici Mondadori, creare un’ altra collana in cui
relegare i volumi più vecchi della collana, ad un prezzo inferiore e con
una copertina diversa tanto per inquadrare la diversità del prodotto?
In questo modo si potrebbe acquisire liquidità da investire in altre
pubblicazioni .
Le prenotazioni vengono sempre
fatte anche in editoria, e infatti in qualche caso una pubblicazione già
decisa e stata annullata proprio perché le prenotazioni si erano
assestare su un numero troppo basso. Ma il punto vero è che i libri non
vengono venduti al cliente finale (il lettore) ma a un intermediario (il
libraio) che poi li vende. E i librai hanno sempre la possibilità di
rendere all’editore i libri acquistati se questi non incontrano il
favore del pubblico. Quindi le prenotazioni hanno una loro importanza,
ma non garantiscono nulla: se io prenoto molto bene ma poi vendo molto
male mi trovo in ogni casi nei guai. Quanto alle edizioni economiche,
certo, è possibile, ma tenga conto che i diritti non vengono acquistati
dall’editore senza limiti di tempo e con la possibilità di farne poi
quello che vuole. I contratti sono molto dettagliati e limitativi,
quindi costi per l’editore, oltre a quelli di stampa, distribuzione,
ecc., ce ne sarebbero sempre. Inoltre, ma sempre parlando in termini
generali, non creda che le edizioni economiche se la passino poi bene in
questo periodo; anzi, in quel settore le vendite sono forse scese di
più rispetto a quelle delle edizioni maggiori.
Quanto conta, nelle Sue pubblicazioni, il costo diritti editoriali?
A sufficienza, ma non è quello il vero problema della collana, come ho già indicato rispondendo a una precedente domanda.
Quali autori/titoli usciranno
nel 2016? E quali altri, sulla base di un successo che noi auguriamo
possa riprendere, potrebbe trattare in un prossimo futuro?
Le posso dire quelli che sono i
prossimi titoli in uscita: “Un pomeriggio da ammazzare” di Shelley
Smith, “Arsenico” di Richard Austin Freeman, “Quella cara vecchietta” di
Belton Cobb, “Compleanno con delitto” di Lange Lewis, e poi un Anthony
Wynne, una Ethel Lina White, R A J Walling, Anthony Weymouth, ma non mi
chieda di più. Toglierei la sorpresa ai lettori e svelerei i miei
programmi editoriali alla concorrenza.
Ringrazio il Dott. Polillo per la disponibilità mostrata e la sua gentilezza.
P.D.P.
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