giovedì 16 marzo 2017

Michael Innes : Meglio erede che morto (The Gay Phoenix, 1976) – trad. Antonio Ghilardelli – I Classici del Giallo Mondadori N. 1306, 2012 (2^ ediz.) ; Il Giallo Mondadori N. 1580, 1979 (1^ ediz.)



“I fratelli Povey si guardavano negli occhi. Lo sguardo di Charles Povey era più fisso di quello di Arthur Povey, il che era nell’ordine naturale delle cose, poiché Charles era morto.”
Così comincia lo straordinario romanzo che è in edicola questo mese, nella collana I Classici del Giallo Mondadori: The Gay Phoenix, di Michael Innes. Al lettore distratto od occasionale Innes dirà molto poco. Ma a quello più attento e frequentatore assiduo delle librerie, lo stesso nominativo avrà ricordato la straordinaria opera prima, dal titolo “Morte nello studio del rettore”, Death at the President’s Lodging (1936), pubblicata anni fa nella collana “I Bassotti”, da Polillo.
In realtà di Innes, vero nome John Innes Mackintosh Stewart, nato nel 1906 e scomparso nel 1994, in Italia son stati pubblicati in tutto oltre ai romanzi citati, anche altri tre: uno pubblicato da Rizzoli, nella serie I Gialli di Qualità; un altro da Feltrinelli, e l’ultimo dalle Edizioni Paoline.  Si tratta comunque, eccetto quello pubblicato da Polillo, di opere tarde, in cui il protagonista delle storie di Innes, Sir John Appleby, risulta esser stato messo a riposo, dopo una vita passata nella Polizia, dalla funzione iniziale di Ispettore, a quella finale di Capo della Polizia.
Appleby, forse, è l’investigatore più colto in letteratura in assoluto, tanto quanto Philo Vance lo è nelle arti figurative e scultoree. Del resto, mentre Philo Vance fu la creatura di Willard Huntington Wright, grande critico d’arte newyorkese e profondo conoscitore dell’opera di Nietsche, Appleby lo è stata di John Innes Mackintosh Stewart, che solo per divertimento, come diceva lui, scrisse gli oltre cinquanta titoli, con lo pseudonimo di Michael Innes. In realtà John Innes Mackintosh Stewart era un cattedratico, imprestato al romanzo poliziesco, come Cecil Day-Lewis (alias Nicholas Blake), o come Alfred Bennett Harbage (alias Thomas Kyd): insegnò, a Oxford, Letteratura Inglese. Della sua professione universitaria, nei suoi romanzi vi sono molte testimonianze dotte: citazioni di Shakespeare, di altri poeti inglesi, citazioni di poeti e letterati latini, oltre che una prosa estremamente forbita e raffinata. Tuttavia, se nei primi romanzi, queste caratteristiche sono amplificate, esse tendono progressivamente, con il fluire del tempo, ad attenuarsi, pur comparendo qua e là. Il romanzo che analizziamo oggi, The Gay Phoenix, è del 1976, anche se in Italia fu pubblicato nel 1979: allude al nome della barca, su cui accade un avvenimento che ha ripercussioni sull’intera trama.
Arthur e Charles Povey sono due fratelli, minore e maggiore. Essi si sono imbarcati su una barca a vela e stanno attraversando l’Oceano. Non ci sono altre persone su quella barca, solo loro due: due personalità a confronto. Nell’infanzia non si son mai voluti tanto bene, se Arthur in una legnaia ha mozzato il dito indice della mano sinistra di Charles. Al di là di questo, e al di là del fatto che Arthur sia il minore, i due fratelli da giovani se la son spassata. Rampolli di una famiglia molto conosciuta, non stati mai degli stinchi di santi: furtarelli, violenze, sopraffazioni, espressioni più di una vita annoiata che non di personalità inclini al delitto. Tuttavia, qualcosa di non onesto deve essersi insinuato, se è vero che le loro attività son state inclini sempre alle situazioni legali non chiare. Ed è per questo motivo, che si comprende come Charles abbia ad un certo punto deciso di prendere il largo, di fuggire cioè, di far perdere le proprie tracce, a bordo di una barca. Ma, non essendone pratico, ha chiesto ripetutamente ed ottenuto dal fratello minore Arthur, che lo accompagnasse, giacchè più esperto di lui nel guidare una barca a vela. Fatto sta che non viene spiegato, per quale motivo Arthur si sia imbarcato anche lui, e perché nessun altro stia a bordo: si potrebbe anche ipotizzare che, fuggendo da una situazione economica non chiara, non volessero avere dei testimoni. Durante una tempesta, un albero della nave si rompe e precipita sul povero Charles, fracassandogli il cranio. Arthur, povero ed indifeso, e anche succube della propria situazione finanziaria non rosea rispetto a quella del fratello, erede delle sostanze di famiglia ed abile e spregiudicato affarista, diventa improvvisamente erede dell’intero patrimonio fraterno. Tuttavia, mentre cambiano le sue prospettive economiche di base, si rende conto che la sua situazione personale diventa più delicata: come farà a convincere di non aver deliberatamente ucciso il fratello per carpire primogenitura e proprietà di famiglia, oltre che le sostanze di Charles di cui è diventato erede ? Innanzitutto deve disfarsi del cadavere prima che cominci a decomporsi. E così butta a mare il corpo. Poi mette a punto il suo capolavoro: si comporterà in maniera che le persone con cui possa aver a che fare, al suo rientro (apparirà come un naufrago che ne ha passate tante), lo convincano di essere quel Charles, che lui ha deciso di impersonare dal momento dell’incidente: per far ciò si mozza deliberatamente (e che atto di coraggio! o di disperazione!) l’indice della mano sinistra. Curioso (e geniale da parte di Innes) che uno possa diventare un’altra persona, solo mozzandosi un dito! Ma è così perché i due fratelli, grosso modo si assomigliavano parecchio. Dirà di essere Arthur che è rimasto solo senza Charles, perché un albero della nave gli è caduto addosso fracassandogli il cranio (che poi è la verità), solo che gli mancherà un dito, quello che mancava prima della partenza a Charles, non ad Arthur. E dirà di soffrire di forti dolori di testa e di amnesie (ma anche questa è la verità). E gli psichiatri si affanneranno a convincerlo che lui non è Arthur ma Charles. Quando si sarà convinto di esserlo, lo lasceranno andare. Che capolavoro! Arthur raggiunge la vetta e l’agognata felicità economica con un sotterfugio degno di una mente brillantissima. Ma lui non sa che uno degli psichiatri, essendogli rimasto il dubbio che quello in fondo fosse Arthur e non Charles, ne parla ad una riunione di conoscenti ed amici, e tra loro almeno due sono più dubbiosi degli altri: un giudice, ed il Capo della Polizia. Che poi è Appleby. La storia in pratica intreccia vari piani di finzione: quella in prima persona, e quella che viene narrata da altri, alternativamente. Nella stessa maniera in cui, nella povera mente distrutta da quell’incidente, si alternano le due personalità dei due fratelli. Il povero Arthur soffre, cioè, di uno sdoppiamento di identità, una questione attinente alla schizofrenia: quando è in sé, è Arthur che deve però comportarsi come se fosse Charles; quando la sua personalità soggiace a Charles, egli sa di essere lui, ma non capisce il resto. Insomma è una situazione disarmante. Il povero (o ricco, a seconda dei punti di vista) Arthur, comincia a fare la vita del nababbo. La sua sfortuna tuttavia sta nell’incontrare un giorno, l’unica persona che non avrebbe mai dovuto incontrare: un suo servitore, che nella casa paterna svolgeva funzioni anomale, recandosi in giardino o in casa a seconda delle necessità, lo aveva aiutato in più occasioni quando era giovane, come quando lui, Arthur, aveva sottratto un portasigari dalla casa di un ricco possidente della sua zona. Il servitore, che nell’albergo in cui sta Arthur, svolge il compito di svuotare i portaceneri, lo riconosce da un particolare a cui nessuno fino a quel momento aveva fatto caso: i capelli che, diversamente dal fratello, crescevano in un modo tutto loro. Fatto sta che da quel momento, Butter diventa una palla da piede, se non il vero padrone di Arthur. Arthur gli prospetta il prezzo del silenzio in cambio di diecimila sterline, ma Butter non è dello stesso avviso: ha capito di aver acciuffato la gallina dalle uova d’oro e non vuole lasciarsela sfuggire. Per un momento Arthur pensa anche a sbarazzarsene. E’ quando per un caso fortuito, in un pub sul molo, viene scambiato per un altro, e viene a sapere che Butter è in una brutta situazione: dei suoi compari, credendo che lui voglia tradirli, hanno deciso di ucciderlo. Pensa in un primo tempo di stare al gioco, e di fornire loro il modo per ucciderlo: i suoi problemi così saranno risolti. Ma, all’ultimo momento…decide di aiutare Butter: non è un assassino, nonostante Butter crede che egli abbia ammazzato il fratello, e così facendo Arthur firma la sua condanna a vita. Qui sono a confronto due perone: il furfante, che riesce a farla franca (Butter) e la mezza tacca (Arthur) che non riesce proprio a diventare quel furfante che è Butter. Butter lo convince a costruirsi la personalità del ricco magnate, che non vuole avere rapporti col mondo e a ritornare nella sua casa natale. E’ un grosso sbaglio. Perché se prima cercava solo di districarsi nella rete di società e di affari non puliti di Charles, e di una possibile bancarotta, fuggendo dai creditori, rifugiandosi in un posto come Brockholes, con la personalità di Charles, viene a confrontarsi con una realtà non ipotizzata: quella delle tante avventure sessuali di Charles. Come Arthur potrebbe non conoscere “le signorine” amiche di Charles, ma come Charles dovrebbe saperle riconoscere. Charles non solo aveva impalmato serve e servette, non solo aveva fatto sesso con “innocenti fanciulle” di campagna desiderose di compiacere il possidente della zona, ma anche, in virtù dei tanti soldi che possedeva, aveva collezionato una serie di avventure pagate con squillo e prostitute d’altro bordo, con mantenute, che avevano rimpinguato il suo carnet di playboy ma di cui egli non ricordava più nulla. Figurarsi come dovesse sentirsi Arthur, che le aveva sentite menzionare nelle confessioni del fratello, ma che non le aveva mai incontrate! Fatto sta che un giorno ne incontra una, che a sua volta, lo riconosce non essere il fratello, nonostante il dito mozzato, dal modo come lui faccia sesso: un’altra palla al piede. Intanto le voci si rincorrono nel paese, e giungono anche all’orecchio di Appleby e di sua moglie. Sulla base di quel che ricorda del conciliabolo con lo psichiatra di Adelaide (Australia), e di quello che gli arriva alle orecchie ora, decide di investigare. Si ritroverà dinanzi un uomo che cerca in tutti i modi di sembrare un altro: ma lo è veramente? E fino alla fine non saprà se Arthur sia vittima di amnesie (come egli dice) o se sia un abile truffatore. Fatto sta che Arthur… 
Non è un Innes primna maniera, ma un romanzo di indubbio fascino, The Gay Phoenix, con una forte tensione psicologica, scaturente dalla maestria di Innes, che gioca con le infinite possibilità che la fantasia gli propone. Inoltre anche qui inserisce il tema della sostituzione di persona, che è una delle sue caratteristiche. Questa volta la associa ad uno sdoppiamento di personalità, che lascia interdetti sino alla fine. E’ un contorcimento, un arrampicarsi sugli specchi che mi ha ricordato, per certi versi, Cat and Mouse di Christianna Brand, in cui una situazione è nota fin dal principio, ma poi c’è per tutta la durata del libro un rincorrersi estenuante, ed un ribaltamento continuo delle situazioni, come in questo caso. Il romanzo di Innes, però, non ha un omicidio: c’è un incidente, che da tutti vien ritenuto omicidio, ma che non lo è. Alla fine del romanzo viene paventata la possibilità che la scomparsa di una persona possa esser inquadrata in un omicidio (quello che noi diremmo “una morte bianca”), ma è una possibilità che svanisce così come appare. In bilico tra situazioni da feuelliton e romanzo d’avventura, The Gay Phoenix, sembra quasi ripercorrere le atmosfere dei romanzi di Henry Holt o Sax Rohmer, con il corollario di personaggi e il tourbillon di avventure che attornia l’azione principale. In questo romanzo c’è tutto: la banda internazionale, la truffa, la sostituzione di persona, lo sdoppiamento di personalità, un omicidio-incidente, un doppio ricatto, l’appropriazione indebita, l’indagine e la soluzione sul filo di lana, il bluff. Insomma, situazioni che tengono sempre alta la tensione. Marcate sono le connotazioni sessuali delle situazioni che la trama propone, e mai come in questo mystery, il sesso acquista una sua valenza: se Charles non avesse collezionato incontri occasionali e rapporti con prostitute d’alto bordo e mantenute, e non avesse ossessionato Arthur con il racconto delle sua gesta amatorie, questo non avrebbe gettato la prudenza al vento e proposto ad una di quelle “sgualdrine”, Perpetua Porter detta “Pops”, che “..ci sono momenti in cui i fatti sono più urgenti delle parole”; e se non ci fosse stato questo rapporto sessuale, sull’erba del parco, Pops non si sarebbe mai accorta che Arthur non era Charles, come gli rinfaccia : “ Però, credo che dovresti essere molto prudente quando vai a letto con una qualunque delle gentili signore che sono state amiche di Charles. In pratica, e per essere franchi, io ti consiglierei fortemente di andarle a fare altrove certe cose”. E prima gli aveva detto : “ E’ stato abbastanza carino, buon uomo, ma non bello com’era con Charles Povey”. Insomma è come se l’avesse pugnalato con uno stiletto, tanto le sue parole erano taglienti, dice Innes “.. studiate con malizia”. A dirla breve, Charles l’aveva fatta godere, Arthur no. E quindi, se Pops non si fosse mai accorta che Arthur non era Charles, non ci sarebbe stato il successivo ricatto di Pops nei confronti di Arthur. E ancor di più, se Charles non avesse collezionato rapporti sessuali con le ragazze del villaggio, nessuno avrebbe mai rinfacciato presunte paternità ad Arthur. Per di più c’è anche una certa connotazione gay: la barca a vela sulla quale si consuma la vicenda si chiama The Gay Phoenix. In Italiano possiamo tradurlo in due modi sostanzialmente: “La Fenice Allegra” o “La Fenice Omosessuale”.
A me sembra che la seconda traduzione sia la più pertinente, perchè il titolo potrebbe indurre a pensare ad una certa valenza omosessuale di Arthur, che quando ci prova con le donne, non ottiene grandi risultati ed è come se il sesso per lui fosse una cosa obbligatoriamente da fare, per dimostrare qualcosa (magari a se stesso o agli altri), piuttosto che qualcosa da scegliere di fare. In questo caso, “La Fenice Gay” sarebbe non altro che un modo elegante (raffinato nella scelta dei termini) con cui Innes marca l’omosessualità latente di Arthur: la Fenice è il mitico uccello che risorge dalle sue ceneri, ed in questo caso Charles risorge dalle sue ceneri, nella persona di Arthur. Arthur quindi è la Fenice. La sua omosessualità richiamata in più parti della storia, con la sua sfortuna con le donne, si potrebbe ricavare anche dai rapporti che si dice intrattenesse quando era giovane con il suo servitore Butter, che poi lo riconosce, e diventa, come Pops, il suo padrone. Peraltro, il fatto che Arthur diventi lo schiavo di entrambi, volontariamente (lui potrebbe agevolare l’assassinio di Butter da parte dei suoi ex complici, ma non lo fa, pur sapendo che così firmerà la sua condanna; lui si butta tra le braccia, ancor meglio si dovrebbe dire, tra le gambe, di Pops. E così facendo si consegna inconsciamente alla sua dominazione), potrebbe far insorgere il dubbio che egli masochisticamente in fondo desideri essere dominato. Ma, il fatto che poi cerchi in tutti i modi di liberarsi dal loro pesante giogo, e ci riesca alla fine, potrebbe star a significare che solo una, delle due personalità che in lui agiscono, è passiva, mentre l’altra non lo è.
Pietro De Palma


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