Nell’ambito di una classificazione in cui i romanzi di
Simenon siano presi in esame sulla base della cronologia di pubblicazione, L’affaire
Saint-Fiacre, di Georges Simenon, si pone come il 13^ romanzo con
protagonista principale il commissario Maigret.
Fu scritto da Georges Simenon nel gennaio 1932, (dopo L’Ombre
Chinoise e prima di Chez les Flamands) e pubblicato in Francia, nel
febbraio dello stesso anno. Simenon pose l’azione romanzesca nella cittadina di
Saint-Fiacre, nel dipartimento dell’Allier, vicino a Moulins. In realtà, in
quel dipartimento non esiste nessuna cittadina con tale nome, anche se nella
realtà ne esistono ben altre due, situate però in luoghi diversi: Saint-Fiacre
nel dipartimento della Côtes-d’Armor nella regione della Bretagna;
Saint-Fiacre, nel dipartimento di Seine-et-Marne, nella regione
dell’Île-de-France. Tuttavia, se Simenon aveva dato un nome vero ad una
località fittizia, è anche vero che il luogo in cui lui pose l’azione non gli
era sconosciuto: infatti da giovane aveva lavorato, presso Moulins, a
Paray-le-Frésil come segretario personale del Marchese Raymond d’Estutt de
Tracy, che lì aveva un castello, il cui amministratore, fu preso ad esempio per
la figura del padre di Maigret, che nel romanzo si dice esser stato intendente
dei Conti di Saint-Fiacre. Da questo romanzo, fu tratto un film sul commissario
Maigret.
Maigret et l’affaire Saint-Fiacre, è il
secondo dei due films che Jean Delannoy realizzò. Avevano giurato lui e Jean
Gabin, che il primo, Maigret tend un piège, di un anno prima,
1958, sarebbe stato l’unico.
Quando ci si provarono, i due, regista ed attore
protagonista, erano molto conosciuti; ed avevano anche la stessa età: Delannoy
già affermato regista e sceneggiatore, vincitore a Cannes nel 1946 con La
symphonie pastorale, era nato nel 1908; l’indimenticabile Jean
Gabin, invece, protagonista insuperabile del cinema realista francese (Golgotha
e Pépé le Moko, di Julien Duvivier; La Grande Illusion, di Jean
Renoir; Le Quai des brumes, Le jour se lève e La Marie du
port, di Marcel Carné), aveva vinto ben due Leoni d’oro a Venezia nel giro
di tre anni : La Nuit est mon royaume, di Georges Lacombe (1951); Touchez
pas au grisbi, di Jacques Becker (1954).
E anche Georges Simenon era conosciuto, altrochè!
Quindi un film che avesse celebrato il Maigret di Simenon, pur se snobbato dai
più giovani, era destinato ad essere un grande successo commerciale. Infatti,
l’enorme successo di pubblico riportato in quell’occasione, fece loro mutare il
loro iniziale intendimento. Così si ritrovarono assieme per questo secondo
Maigret, che come il primo, fu un clamoroso successo. E Jean Gabin tanto
sfondò, che ancor oggi, cinematograficamente parlando, il Maigret di
riferimento è ancora il suo.
Diversamente dalla prima pellicola, in cui Jean Gabin
si era contrapposto ad Annie Girardot, la seconda si avvalse di un grande
interprete maschile, anzi due ( Michel Auclair e Robert Hirsch ) contrapposti a
Gabin. Più tardi, nel 1963, ci fu il terzo Maigret di Gabin, Maigret voit
roug di Gilles Grangier, in cui con lui recitò Fraçoise Fabian.
Rispetto al romanzo, il film parte con un diverso
attacco: mentre nell’originale, Maigret si è messo in viaggio per Saint-Fiacre
sulla scorta di un’informativa giunta da Moulins a Parigi, secondo la quale è
in progetto un omicidio nella chiesa del paese durante la funzione di
Ognissanti : « Un crime sera commis à l’église de Saint-Fiacre pendant la
première messe du Jour des morts. », nella pellicola Maigret si reca a
Saint-Fiacre chiamato personalmente dalla Contessa di Saint-Fiacre sulla base
di una lettera indirizzata a lei, in cui le si annuncia che morirà durante la
funzione delle Ceneri: : «L’heure du chatiment a sonné. Tu mourras
avant l’Office des Cendres». Stranamente, nel film, viene cambiato il tempo
della morte: il giorno delle Ceneri al posto di quello dei morti. Ma non è la
sola cosa che cambia. Innanzitutto il diverso incipit studiato sulla base di
esigenza cinematografica: Maigret entra nel caffè principale della cittadina e
si incontra con l’anziana contessa, e l’incontro è il mezzo ed il modo per
lasciare un attimo i due ai ricordi comuni, della loro giovinezza, quando lui
era un ragazzo biondo dagli occhi celesti, figlio dell’intendente delle
proprietà dei Conti di Saint-Fiacre, e lei era la contessa, musa ispiratrice
del ragazzo.
Nel romanzo, invece, Maigret rivede l’anziana contessa
(60 anni!) alla messa dell’alba, la prima messa del giorno come annunciato nel
messaggio di morte, mentre entra in chiesa e si siede al posto a lei riservato.
In entrambi, la morte si verifica mentre sta indagando per scoprire chi stia
dietro alle minacce, e quindi per lui, la morte della contessa rappresenta uno smacco
e un incentivo a smascherare l’omicida e consegnarlo alla giustizia, tanto più
che la nobildonna gli muore davanti agli occhi, dopo la Comunione, senza che
lui o altri possano intuire quanto sta accadendo davanti ai loro occhi. In
pratica qualcuno ha informato la vecchia che il figlio si è suicidato (per
debiti?) a Parigi, per la vergogna di avere una madre come lei. Infatti nel
film la presenza di Luciano Sabatier (perché proprio questo nominativo, se nel
romanzo si chiama Jean Métayer ?), suo factotum e segretario non è spiegata
intimamente, mentre nel romanzo la cosa è più esplicita, molto più esplicita:
in pratica è il suo amante. In realtà il romanzo si spinge molto di là, nel
presentare la contessa, donna di virtù fino ai quaranta-quarantacinque anni già
vedova, poi..E quel definirla “donna di virtù” legando l’espressione ad un
determinato arco temporale, da parte del dottore, Bouchardon, significa il
resto, che cioè dopo è divenuta altro, insomma una ninfomane o poco ci manca.
Una che cambia gli amanti con nonchalance, che accoglie fra le lenzuola i suoi
segretari. Che a loro volta l’hanno spolpata, sprovveduta com’è, di tutti i
suoi averi. Al resto ci pensa il figlio, Maurice de Saint-Fiacre, che sperpera
e fa la bella vita. Pare che avesse avvisato la madre che sarebbe passato a
chiedere altri quaranta-cinquantamila franchi per coprire un assegno scoperto.
Intanto la contessa è stata trasportata al castello e
sopra un letto, spogliata nuda, il dottore la esamina e stila il suo verdetto
di morte per sincope. E’ Maurice che pur confermando quello che ha detto
Bouchardon, tenta di spiegare la condotta della madre, quale tentativo di
ricevere affetto più che fare sesso.
Fatto sta che ben presto Maigret capisce di essere
dentro un covo di serpi: il segretario, Lucien Sabatier, cerca di appropriarsi
di un Luigi XVI amministrando furbescamente e disonestamente le proprietà della
contessa ed è da tutti, indicato tanto “ladro” che già allerta il proprio
avvocato; il figlio Maurice de Saint-Fiacre, appena arrivato al castello,
sbandiera sotto il naso di tutti il giornale in cui è annunciata la sua finta
morte. E’ stato lui a dare la notizia al giornale per uccidere la madre ed
intascare l’eredità? Potrebbe anche essere, dato che è uno smidollato che ama
il lusso, la bella vita e le donne, che ha distrutto senza battere ciglio le
proprietà della sua famiglia, e ha portato già alcune volte la sua vecchia
madre quasi al collasso, con la sua condotta da scavezzacollo; il vecchio
amministratore che mette in cattiva luce altri ma non esita anche lui a cercare
di ricavarci il proprio utile, in quel “mangia mangia” collettivo; persino il
medico condotto ed il curato potrebbero avere avuto una parte nella morte.
Fatto sta che tra costoro si cela una serpe.
A questo punto tra le due opere si nota una profonda
spaccatura: cambia cioè il principe dell’azione investigativa: nel film è
Maigret e gli altri assistono, nel romanzo il deus ex-machina è il figlio,
mentre Maigret è in disparte che osserva e cerca di capire, ma non interviene o
stenta a farlo, sopraffatto dagli eventi, e anche dall’iniziativa furibonda di
Maurice, che intende farsi vendetta.
FILM
Maigret allora comincia ad indagare su chi abbia
ucciso la vecchia in modo così vigliacco. Ma come è arrivata la notizia prima
che il giornale venisse diffuso in paese? Questo è il problema!
E l’assassino, come ha fatto materialmente ad uccidere
la contessa, visto che nessuno ha visto avvicinarvisi alcuno durante la Santa
Messa? L’illuminazione porterà Maigret/Gabin a cercare il messale, dentro il
quale, alla pagina della funzione religiosa, trovano un ritaglio di giornale
della pagina incriminata.
Maigret si reca allora nella redazione del
giornale e cerca di mettere paura al responsabile della pubblicazione della
notizia, ma capisce che è solo un giornalista superficiale. Tuttavia,
seguendolo, si ritrova in un bistrot in cui ritrova gran parte dei protagonisti
della storia: il contino, il segretario malfidato, e anche il figlio
dell’intendente, avviato agli studi proprio con la protezione della contessa.
Lì vede il redattore sfilarsi la giacca e appenderla, con dentro la copia del
giornale appena uscito dalle rotative, e non ancora venduto: capisce che solo
così qualcuno è riuscito ad impadronirsi della notizia e del ritaglio.
L’individuazione del responsabile avverrà durante una
cena, alla presenza di tutti i protagonisti della vicenda. Di nuovo
sostanzialmente il ruolo dei protagonisti cambia: mentre nel romanzo, Maigret,
che ha subito lo smacco, si tiene in disparte e l’azione la conduce Maurice de
Saint-Fiacre, che poi viene ucciso davanti agli occhi di tutti dall’assassino,
e quindi Maigret ha solo la funzione di arrestare l’omicida, che gli porge i
polsi.
ROMANZO ORIGINALE
L’azione è molto più complessa.
Innanzitutto il messale non si trova subito (neanche
nel film), ma nel romanzo la consegna da parte del chierichetto avviene perché
è stata promessa una ricompensa: la madre con il figlio consegna il messale a
Maigret, che sa che il ragazzo l’ha trovato sotto la sua cotta: l’assassino,
pensa Maigret, deve averlo messo lì, in attesa di recuperarlo più tardi. Più
tardi il chierichetto (che si rivela un bugiardo, come la madre, testimoni
falsi perché comprati) testimonierà falsamente che sarebbe stato Mètayer a
corromperlo per avere indietro il messale con la prova al suo interno.
Nel film, inoltre si accenna al fatto che Maurice
avesse un assegno da coprire, ma poi tutto passa al di sopra. In
realtà..l’assegno ha un ruolo: Maurice era venuto la sera prima della morte al
castello, per prendere un po’ di gioielli di famiglia e venderli, solo che
sulla scalinata, aveva incontrato quello che si saprà più tardi essere
l’assassino, che gli aveva candidamente detto che era appena uscito dalle
lenzuola della madre.
Quindi Maurice, apparentemente aveva un movente per
uccidere la madre, e in più era stato notato nella cittadina, mentre lui
sosteneva di essere stato fino al giorno della morte della madre a Parigi.
Per di più, è sempre la mancanza di soldi, a smuovere
la sua amante russa e a farla arrivare al castello.
Nel romanzo, sempre l’assegno, porta in rilievo la
figura del curato, che nel film è una figura secondaria: è egli che provvede a
coprire l’ammontare scoperto, ottenendo la somma dalla moglie del notaio del paese,
e consegnandola a Maurice, perché vada via: egli infatti, è convinto che ad
uccidere la contessa sia stato il figlio. Vuole così, evitare che la casata e
la defunta siano ricoperti dallo scandalo, giacchè essa – pur in bilico tra la
lussuria e la santità – è morta in grazia di Dio E sempre lui è stato, a
nascondere il messale sotto la cotta, avendo compreso che a far morire la donna
è stata un’emozione provata leggendo quello strano ritaglio di giornale.
Strano, perché nel film si dice sia stato preso da una
pagina e nel romanzo originale, lo si presenta come preso da un abbozzo di
pagina, che lo collega ovviamente subito ad un giornale o alla rotativa di una
stamperia. Ma nel romanzo non c’è tutta l’indagine di Maigret presso il
giornale, il colloquio col redattore, nulla: si fa menzione solo del caffè di
provincia dove si ritrovano un po’ tutti, anche coloro che lavorano nel
giornale.
In realtà nel romanzo, gli eventi è come se si snodino
senza che il commissario possa metterci il suo, come se le cose dovessero
andare a quel modo, secondo un piano prestabilito: gli eventi si susseguono in
un vorticare intenso, con una tensione crescente. E intanto che la morta è
stata vestita per il funerale, il castello diviene la meta di traffici
legittimi e non: i fittavoli che vanno a rendere l’ultimo saluto alla loro
padrona, i concittadini che dopo aver chiacchierato a lungo della condotta
disdicevole della loro illustre castellana, vogliono riconciliarsi con lei,
visitandola; e tutti coloro che dicono di averle prestato i soldi, che vogliono
ricavarci qualcosa da quel patrimonio oramai quasi scomparso: Sabatier/Métayer,
interessato ai mobili, da giornalista d’arte qual è; il figlio che cerca di
evitare che gli ultimi spiccioli vadano in altre mani; l’intendente, Gautier,
che accampa settantacinquemila franchi, spesi a suo dire per coprire degli
ammanchi, e per le spese del funerale. Insomma, un atmosfera immonda: una donna
morta di crepacuore, lasciata sola in una camera fredda, e altrove gli altri
che si scannano per gli ultimi brandelli di quello che era il patrimonio di
Saint-Fiacre. Sembrano quasi i soldati romani che si disputano la veste di
Cristo, mentre questi è in procinto di morire. Solo che qui, il morto c’è già.
Insomma il romanzo è un “nero” alla francese, più che
un giallo classico, perché qui c’è il movente, c’è l’arma, c’è il cadavere, ma
non ci sono gli indizi che possano consentire anche al lettore di entrare in
competizione con l’investigatore, cosa che altrove era rispettato (vedi i Carr
e i Queen e anche in misura minore i Christie), e che qui invece non esiste.
C’è bisogno allora di una scena finale, una cena, “alla Walter Scott”,
come dice il romanzo, per riunire assassino, detective vero (Maigret), presunto
(Maurice) e gli altri protagonisti. Una scena nera. Gotica, nella sala da
pranzo, rischiarata dalle candele. Questa scena, tuttavia, dimostra anche la
tendenza di Simenon a recepire quegli schemi tecnici tipici del romanzo ad
enigma di tipo anglosassone, proprio di quegli anni: la scena finale,
della riunione di tutti gli indiziati davanti al detective, è un motivo
ricorrente.
Nella diversità delle due trame, vogliamo prendere in
esame proprio questo momento finale per tentare di inquadrare l’atmosfera del
film in rapporto al romanzo: innanzitutto il film è molto cupo e malinconico e
questo è in linea con il Simenon originale, ma il Maigret di Delannoy è molto
diverso da quello di Simenon. Tanto diverso che lo scrittore, pur incassando
molto il film, criticò aspramente l’interpretazione di Gabin, tesa a emergere
su tutti, mentre nel romanzo non è così, e soprattutto comportandosi più come
un commissario che avesse assorbito la lezione dell’Hard-Boiled del dopoguerra
(molto brusco nei modi, molto deciso nell’azione), che non come un Commissario
ante-guerra, ancora molto vicino alla lezione del giallo classico. Infatti la
maniera in cui Jean Gabin gigioneggia è quasi plateale: si direbbe che la
sceneggiatura fosse stata realizzata proprio su misura per lui, per metterlo in
mostra. Per es. guardare la scena molto drammatica in cui afferra l’assassino e
lo trascina per la collottola, come un cane,fino al feretro della contessa in
attesa della sepoltura, e costringe, in un crescendo drammatico e molto
cinematografico, a inginocchiarsi dinanzi a lei per chiedere perdono. In tale
prospettiva, il film, di quelli che a quell’epoca in Francia venivano definiti
“cinéma de papa”, è un notevole esempio di poliziesco francese di un attimo
prima che si diffondesse il cinema della Nouvelle Vague.
Nel romanzo simenoniano, la cena è invece il fulcro
del piano di Maurice per smascherare l’assassino: lui ha capito chi sia, ma
vuole che sia lui a smascherarsi, sapendo anche che non potrà mai essere
accusato di nulla, perché inserire un foglio in un messale non è un reato,
nemmeno quando provoca una morte. E quindi mette in scena una cena che Blasetti
avrebbe definito “delle beffe”: ad uno ad uno esamina i possibili assassini,
dichiarando solo nel caso di Bouchardon, che è il solo che tra i tanti, non
avrebbe avuto nulla a ricavarci: il prete, da mistico qual è, avrebbe ricavato
un’anima santa al paradiso invece di una persa nelle spire della lussuria e del
peccato: sarebbe stato quindi un angelo vendicatore di Dio; Mètayer avrebbe
potuto uccidere per evitare che il testamento, in cui era nominato, potesse
essere cambiato nel momento in cui lui si fosse allontanato dalla contessa, per
impalmare una qualche più avvenente ragazza; Gautier padre, intendente
malfidato, avrebbe potuto ricomprare a prezzi stracciati le proprietà che
sarebbero state già da lui stesso condotte alla rovina; il figlio,bancario
modello, d’accordo col padre, avrebbe potuto conoscere benissimo la situazione
finanziaria della contessa, da capire che non c’era alternativa alla sua morte,
per togliere di mezzo il Métayer dal testamento, facendo ricadere su di lui,
sospettato numero uno, i sospetti, anche perché di lui era divenuto il
sostituto, perché anche lui, prima che arrivasse Jean, aveva goduto delle
attenzioni particolari della contessa; e infine lui stesso, Maurice, che
avrebbe potuto far morire la madre, per entrare subito in possesso dei pochi
soldi rimasti, evitare che andassero ancora sperperati dai segretari amanti,
dagli intendenti infidi, e riuscire a condurre una bella vita.
Una pistola a tamburo è posta in mezzo alla tavola,
dove una decina di bottiglie d’annata fa sprofondar i presenti in un’atmosfera
greve di minacce: allo scoccare della mezzanotte, qualcuno spara. E’ lui che
dice di averlo fatto per dargli la possibilità di fare quello che non avrebbe
mai fatto, da assassino della madre: uccidersi. E per questo accampa delle
prove, che solo il vero assassino avrebbe potuto conoscere, rivolgendole contro
il figlio morto. Quando..quando accade che il morto..resuscita: la pistola era
stata caricata a salve. Ora è Maurice che afferra il suo sparatore, lo prende a
cazzotti, lo smaschera davanti a tutti, poi lo prende per il bavero e lo
trascina al pianori sopra, dove, a suon di cazzotti e calci in faccia, lo
costringe a chiedere perdono al feretro della madre.
E così finisce Maigret et l’affaire Saint-Fiacre,
senza che l’assassino possa essere arrestato, perché di assassinio si è
trattato, ma di una natura inconsistente dal punto di vista processuale. Egli
viene solo gonfiato di botte e lanciato giù per la scalinata, senza che Maigret
si muova: è come se facesse da spettatore, in questa tragedia familiare, che
come tutte o quasi tutte le altre avventure maigretiane, presenta una struttura
sociale ben delineata e stratificata: il Primo Stato, i nobili decaduti; il
Secondo Stato, rappresentato dalla Chiesa, quella rurale però; Il Terzo Stato,
rappresentato dalla borghesia degli ordini professionali (la moglie del notaio,
il dottore, il giornalista critico d’arte), e dal popolo: i fittavoli,
l’intendente ed il figlio di umili origini, la pensionante di Maigret. E poi il
poliziotto, l’ordine costituito: Maigret.
In ultima analisi, romanzo e film sono secondo me, due
opere da possedere e da leggere.
Con gli occhi e con la mente.
Pietro De
Palma
Nessun commento:
Posta un commento